Di Massimo Campi – Immagini © Massimo Campi – Raul Zacchè/Actualfoto
La missione era vincere, per forza, ad ogni costo, e loro non hanno fallito. Stiamo parlando dei “Bentley Boys”, dello strapotere della vettura inglese, ma anche della mancanza di avversari validi in grado di contrastarla. La Mans 2003 compie ottanta stagioni, un dato significativo per la più classica e dura delle gare, e la vittoria della marca inglese è un gradito ritorno, ma accanto alla verde GTP ci sono altre due vittorie che hanno un grande peso per i colori italiani, quella della Ferrari, ritornata leader nelle granturismo e di Dindo Capello sulla macchina che è salita sul gradino più alto del podio. Gli avversari? Una bella domanda, praticamente esistenti solo sulla carta, e con un solo nome: quello Audi, che ha si dominato negli ultimi tre anni, ma guarda caso è parente stretta della Bentley Exp Speed 8 vincitrice.
Caldo, tanto caldo in questo torrido fine settimana di metà giugno 2003, con Dindo Capello, Tom Kristensen, Guy Smith che alle quattro della domenica pomeriggio materializzano i loro sogni, seguiti dalla vettura gemella di David Brabham, Mark Blundell e Johnny Herberth, in una edizione soporifera della corsa, che ricorda tanto quelle di alcuni anni or sono, e ben diversa da edizioni entrate nella leggenda come quelle alla fine degli anni novanta, con tante vetture ufficiali a contendersi l’ambito trofeo e ritmi di gara degni di un gran premio, ma lungo una intera giornata.
I tre moschettieri, dopo aver ottenuto la pole position, sono stati in testa per tutta la durata della gara, mentre l’altra Bentley è stata costantemente al secondo posto, attardata solo da piccoli problemi che hanno fatto quella poca selezione tra i due equipaggi.
L’anomalia di questa edizione è stata la ipotetica concorrenza interna nel gruppo Volkswagen, con la Audi R8 a fare da contraltare alla EXP Speed 8, una strategia voluta dai dirigenti tedeschi per rivitalizzare il marchio inglese e finire il dominio della casa degli anelli. La Audi è scesa in campo solo con i team satelliti, quelli privati che fanno correre le barchette dominatrici delle ultime tre edizioni della maratona francese, e subito si è visto che, pur essendo una vettura da vertice e ipoteticamente ancora vincente, senza l’organizzazione di Reinhold Joest la barchetta tedesca ha fatto solamente acqua. Anche l’organizzazione della corsa, forse pressata dal gruppo tedesco e dalla esigenza di contenere le potenze, ha studiato una serie di correttivi regolamentari che hanno favorito i prototipi chiusi a discapito delle barchette aperte. A parte Bentley ed Audi, gli unici che disponevano di vetture al vertice, hanno solo cercato di contenere i distacchi ed arrivare in fondo alla gara. Quinto assoluto un altro italiano, Max Papis, che ha portato la sua Panoz alla fine della maratona con Beretta e Jeanette. Hanno battagliato per tutta la gara contro la Dome di Jan Lammers, Bosch ed Andy Fallace, e la Courage-Judd di Cochet-Gounon-Gregoire. Le tre vetture, dopo 24 ore sono finite nello stesso giro, distaccate di 17 tornate dalla Bentley ed hanno dato vita ad una bella gara per conquistare la classifica delle “altre vetture”.
Ben più serrata la lotta per il primato delle granturismo, con la 550 Maranello preparata dalla Prodrive che ha ampiamente surclassato gli avversari e soprattutto la Chavrolet Corvette, l’unica granturismo sostenuta da un team ufficiale.
Nella classe più piccola continua il dominio delle vetture di Stoccarda, nei confronti delle rivali di Maranello. Se nella serie Fia GT le Ferrari riescono a sopravanzare le Porsche, a Le Mans dove serve soprattutto l’affidabilità è ancora la vettura tedesca a dettare legge. Luhr-Maasen e Collard ha fatto tutta la gara in testa nella N-GT, con la 996 GT3-RSR dell’Alex Job Racing. Anche loro hanno avuto alcuni problemi tecnici, ma gli avversari ne hanno avuti molti di più e la vettura tedesca ha potuto così conquistare un’altra vittoria nella classica francese.
Dominio Assoluto
Non c’è stata storia, è questo il motivo della vittoria Bentley, che ha riportato in cima alla classifica uno dei marchi più gloriosi nella storia dell’automobilismo. Sul podio sono risuonate le note di “God Save the Queen” un inno che ha reso orgogliosi i tanti tifosi inglesi che hanno attraversato la manica per vedere la vetture verdi conquistare la sesta vittoria, dopo le cinque ottenute tra il 1924 ed il 1930, proprio ad opera dei famosi “Bentley Boys”, calati apposta nella terra di Francia per vincere la già allora più grande sfida. Le Mans compie 80 anni, una gara sempre valida, un mito per il mondo sportivo, una sfida che vale ancora la pena vincere per il richiamo sportivo e di immagine che ne risulta. Da tre anni la Bentley insegue questo risultato, con un programma quasi partito in sordina, poi pian piano è sbocciato, soprattutto per merito della capogruppo Volkswagen che ha dirottato nella struttura inglese risorse tecnologia ed uomini del programma Audi. La Bentley ha imposto alla corsa un ritmo insostenibile per gli avversari, grazie alla tecnologia impegnata, all’ottima gestione della squadra diretta da John Wickham ed alle prestazioni dei sei ottimi piloti alla guida. Certo che chi vince ha sempre ragione, ma nessuno è riuscito ad impegnare i piloti Audi che hanno spesso corso di conserva badando più a non fare errori per non compromettere il risultato. Le uniche preoccupazioni venivano proprio da eventuali problemi tecnici che si potevano incontrare nel corso della gara. La EXP Speed 8 ha dei tempi di intervento piuttosto lunghi ed eventuali guai o incidenti avrebbero potuto causare seri ritardi, ma per fortuna tutto è filato liscio. Gli unici piccoli problemi sono stati causati da un poggiatesta, dalla batteria ed una foratura sulla seconda vettura, mentre su quella vincitrice c’è stato solo un problema di tarature nelle sospensioni. I test affrontati prima della maratona francese hanno decretato che la vettura era pronta a questa massacrante prova, con una durata degli organi di oltre trenta ore. Un altro problema era invece quello del caldo nell’angusto abitacolo della vettura che raggiungeva durante le ore più calde temperature da Sahara. Anche alcuni i piloti sono stati dirottati dal programma Audi a quello Bentley, ci riferiamo a Dindo Capello e Tom Kristensen, due tra i principali attori di Le Mans negli ultimi tre anni. Per i simpatico astigiano è finalmente arrivata la grande giornata. Autore di due pole position a Le Mans, uno dei piloti più vincenti e veloci con le R8, ma mai sul gradino più alto del podio. Il riconoscimento dello status ufficiale all’interno del gruppo Volkswagen ed i risultati ottenuti, non fanno che rendere omaggio ad un pilota fortissimo e velocissimo ed a un ragazzo di 39 anni che ha fatto della modestia e della simpatia una delle sue più grandi doti. Tom Kristensen è l’altro pilota dirottato dalla casa degli anelli in Gran Bretagna, e sta rischiando di diventare un nuovo “mister Le Mans”. Il danese è l’unico pilota ad aver vinto per quattro volte consecutivamente sulla Sarthe e con l’altro successo ottenuto nel 1997 ha raggiunto nella speciale classifica Derek Bell. Ora gli rimane solo il record di Jacky Ickx da battere, quello delle sei vittorie conquistate in 15 edizioni della gara, ma Kristensen le sue le conquistate in sole sette 24 ore dimostrando di essere un pilota di grande valore e pronto a raggiungere il record assoluto.
Con questa vittoria la Bentley EXP Speed 8 entra nella leggenda e …. va in pensione. Finito il programma triennale e conquistato il risultato, il team inglese, nato dalla ex Tom’s, la struttura acquistata qualche anno fa proprio dall’Audi, ha finito la sua missione e verrà dirottato in altri programmi. La Bentley verrà nuovamente portata in pista entro fine anno alla Petit Le Mans di Road Atlanta e poi finirà nel museo come le sue antenate.
Le GT vedono rosso
Tante stagioni sono passate da quando una vettura rossa non vinceva sul tracciato francese, precisamente ventinove, quando toccò alla 365 GTb4 di Grandet-“Bardini” vincere la classe granturismo nel 1974. Per la cronaca c’è stata anche una vittoria più recente, quella nel 1981 della classe GTX, le derivate IMSA, con la BB di Ballot Lena e Androuet, ma la vittoria di quest’anno della 550 Maranello ha ben altro sapore. David Richard, il patron della Prodrive, ha creduto in questo programma finanziato in gran parte da Federic Dor, ed ha saputo rendere competitiva, ma soprattutto affidabile, una vettura fantastica. Kox-Enge e Davis hanno fatto il resto guidando alla perfezione la supercar di Maranello e battendo una concorrenza molto qualificata di nome Chevrolet. La casa statunitense negli ultimi anni ha dominato la scena nelle grandi classiche di durata, la Corvette è stata ben sviluppata, con ingenti capitali, dalla squadra ufficiale e tutti si attendevano una nuova vittoria. La Ferrari, più veloce, ha sempre avuto il problema dell’affidabilità, la dote principale della Corvette, ma a Le Mans la situazione si è ribaltata. La vettura della Prodrive non ha sbagliato un colpo macinando chilometri in continuazione, mentre le Corvette, costrette ad inseguire ed a forzare l’andatura si sono dimostrate anche fragili. La Chevrolet a Le Mans è venuta per festeggiare il cinquantenario della casa, con tanto di benedizione di Gorge Bush Jr che ha mandato un messaggio di auguri, ma solo dopo mezz’ora la vettura di Gavin-Pilgrim-Collins aveva un ritardo considerevole nei confronti della Ferrari, poi si sono rotte le trasmissioni, con tanto tempo perso ai box e la conseguente sconfitta e ben dieci giri di distacco alla fine delle 24 ore.
Nella classe GTS si sono presentate al via alcune vetture interessanti, come le Saalen e la Pagani Zonda, al suo debutto a Le Mans. La vettura italiana è stata schierata dal team Carsport, pilotata da Hezemans-Kumpen-Hart, ma la mancanza di affidabilità la ha costretta alla resa. Delle Saalen l’unica al traguardo è risultata quella Chaves-Erdos-Newton, ventiduesima assoluta, mentre ancora valida si è dimostrata la Viper, una vettura alla fine della carriera agonista, ma ancora valida in questa maratona, che ha conquistato il sedicesimo posto assoluto con Bouchut-Goueslard-Zacchia.