Di Massimo Campi – foto Raul Zacchè/Actualfoto
Domenica 1 maggio 1994, una giornata da apocalypse now, il giorno dove cambia tutta la formula Uno moderna, il giorno dove scompare Ayrton Senna. Alle 14 scatta il via, volano le gomme ed una decina di tifosi sono feriti, sono quelle della Lotus di Pedro Lamy e della Benetton di JJ Lehto. La safety car guidata da Angelelli rallenta per cinque giri tutto il gruppo guidato dalla Williams di Senna, con la Benetton di Schumacher che segue a ruota. Deve essere la gara di riscatto del brasiliano della Williams, ancora a corto di punti nel mondiale mentre il tedesco della Benetton è già volato via in classifica. Sgombrata la pista Angelelli spegne le luci della safety car e rientra ai box, Senna forza subito la mano, vuole distaccare quel giovane tedesco arrembante, deve dimostrare che il re è ancora lui! Al 7º giro, alle 14.17 la Williams di Senna entra alla curva del Tamburello. La monoposto ha un breve scarto, poi esce per la tangente verso il muro esterno alla pista. Senna fa un ultimo tentativo, si attacca ai freni, ma c’è ben poco da fare. La telemetria mostrerà che la Williams viaggiava a 310 all’ora e l’impatto è avvenuto a 218 all’ora contro il muro in cemento senza nessuna protezione. Mentre Schumacher incredulo passa la monoposto rimbalza al centro della pista. Senna è immobile nell’abitacolo, la testa si piega sul lato sinistro. Il gelo invade gli spettatori, i soccorsi, e tutto il popolo della televisione. Nell’urto è la ruota anteriore sinistra è finita contro il caso, ma soprattutto un pezzo della sospensione ha perforato il giallo casco del brasiliano ed il braccetto della sospensione rotta gli perfora la scatola cranica. Il dramma invade il Santerno, per il brasiliano non c’è più nella da fare, anche se arriva l’elicottero che lo trasporta prima al centro medico poi al reparto di terapia intensiva dell’Ospedale Maggiore di Bologna, ed alle 18,20 di sera Senna viene dichiarato ufficialmente morto.
Sono passati 30 anni da quel terribile fine settimana, dall’addio di quel campione che ha scritto pagine indimenticabili nella storia del motorsport. Con lui finisce un’epoca, durata 10 anni con tre titoli mondiali, 80 podi conquistati su 162 gran premi disputati tra cui 41 vittorie conquistate con la Lotus e la McLaren e 65 pole position. Numeri destinati ad essere riscritti da Michael Schumacher, in cannibale tedesco, ma per molti il campione rimane sempre lui, “the magic” con quel suo casco giallo, quell’aria un po’ malinconica e quel piede pesante come un macigno!