Nei giorni scorsi la stampa ha a più riprese parlato dell’episodio del GP di Spagna, ovvero del bimbo in lacrime per l’uscita di Raikkonen che viene condotto all’interno del box Ferrari dal suo beniamino.
C’è chi ha letto e interpretato il fatto come un segnale del grande cambiamento nelle modalità di gestione della F1 che tutti si aspettano dai nuovi azionisti di Lyberty Media, ma c’è anche chi, alla luce della vecchia frase in auge al tempo degli scandali politici della Prima Repubblica “a pensar male si rischia di avere ragione”, lo ha visto come un evento abilmente architettato e pensato sin dall’inizio (qualcuno ha fatto notare le troppo inquadrature dedicate al bimbo in questione anche quando sorrideva).
La discussione ci ha dato spunto per riprendere l’ormai annoso tema della supposta mancanza di spettacolo nell’attuale F1 e della conseguente necessità di recuperare pubblico, in generale su circuiti e in particolare nella fascia 17-35 in TV e sui nuovi media.
Ne abbiamo parlato con due personaggi geneticamente molto diversi. Da un lato, Federico Bendinelli, profondo conoscitore della F1 dei bei tempi “eroici”, per i ruoli in passato ricoperti alla guida dei circuiti di Imola e di Monza, ma tuttora vivace contributore alla riflessione “sportiva” alla luce dei suoi ruoli attuali di Presidente di ACI Bologna e soprattutto di Membro italiano della Commissione F1 della FIA. Dall’altro, qualche contrappunto proveniente dalla lunga intervista con Andrea Pontremoli, Amministratore Delegato di Dallara Automobili …..
D. La F1 non piace ai giovani e di fatto tra gli spettatori si è persa quasi del tutto la generazione dei Millennials e comunque della fascia 17-35.
Secondo Bendinelli, il problema riguarda tutte le categorie del motorismo sportivo: il calo è generalizzato. Cita la sua breve esperienza a Monza dove, per alcune gare minori, che vedevano una scarsa affluenza di pubblico, la sua indicazione è stata per un accesso libero, dato che sarebbe stato più costosa la gestione della biglietteria (stampa e imposte sui biglietti, e controlli agli ingressi rispetto all’ incasso), dati il basso numero atteso di presenti.
La radice va ritrovata nel diverso atteggiamento che le nuove generazioni hanno nei confronti dell’automobile: da traguardo (la prima macchina acquistata con il primo lavoro) a semplice strumento di consumo che posso oggi pagare solo quando e per quanto mi serve (ride sharing, car sharing).
Aggiungiamo noi che la F1, attraverso i messaggi subliminali legati ad alcuni sponsor, sembra strizzare l’occhio più alla generazione dei baby boomers che alle successive: difficile che i più giovani siano sensibili al fascino di un Rolex Oyster e di un ambasciatore come il grande Jackie Stewart. Tenuto anche conto che moltissimi giovani non usano neppure un orologio da polso, preferendo utilizzare sempre il fidato smartphone.
Il calcio non sembra invece soffrire di questo problema: è molto più facile identificarsi nei vari Dybala, Higuain e Ronaldo (per restare in ambito finale di Champions League), dato che i ragazzini sicuramente hanno giocato e giocano con un pallone su campi di calcio e calcetto.
Ed effettivamente la F1 un possibile problema di identificazione lo pone: come può un quindicenne identificarsi in un pilota che ha spesso il doppio dei suoi anni e che viene magari premiato o intervistato da qualcuno che a sua volta ha il doppio degli anni del premiato?
D. In Italia cosa è successo?
Sempre Bendinelli: “Paradossalmente l’interesse da parte del pubblico ha mostrato una correlazione inversa rispetto ai successi di Ferrari. Il picco di interesse si è infatti verificato a fine anni ’90, quando Ferrari remava per ritornare all’apice. Poi, negli anni del dominio della Rossa di Schumacher, l’interesse è andato scemando e, sia a Monza che ad Imola, non c’è più stata una vera ripresa.
Il vero picco si è avuto ad Imola 2000, con 194.000 paganti sui tre giorni, record assoluto per lo sport italiano. Nel 2006, il calo intorno alle 100.000 unità; percorso quasi parallelo per Monza, che negli ultimi anni si è anch’essa assestata poco sopra alle 100.000.
D. Tutti da Liberty Media si aspettano molto …
Molto ottimista Andrea Pontremoli: “Mi aspetto molto dalla cultura americana dello spettacolo, di cui sicuramente il nuovo azionista sarà portatore. Al di là dei grandi risultati finanziari ottenuti, la filosofia e l’impostazione di Bernie Ecclestone hanno finito per allontanare molti fan dalla F1. E’ soprattutto un problema di marketing; prendiamo l’esempio della Formula E: si tratta di un prodotto “povero”, ma molto ben gestito. Penso al Fan Boost, che consente al pubblico di votare il pilota a cui il direttore di corsa concederà un aumento di potenza durante la gara (ndr.: sarà possibile generare 200 KW invece dei 130 originali per un periodo di circa due secondi).”
Un po’ più scettico, ma forse meglio dire realista, Bendinelli, anche alla luce della sua esperienza diretta nella gestione operativa di un GP: “Si parla di utilizzare la leva del prezzo per attrarre nuove fasce di pubblico. Secondo me, ci sono però dei vincoli di fatto insuperabili:
• abbassare i prezzi significherebbe abbassare i contratti con i promotori, cosa non facile ed immediata
• si parla di un nuovo accordo nel 2020 che distribuirebbe meno risorse ai team: quanti sarebbero d’accordo, specie tra i più piccoli per cui questi apporti sono puro ossigeno, ma anche tra i più grandi che sono i protagonisti del campionato?
• Liberty ha investito 8 miliardi: non credo vogliano mettere a rischio il loro ROI
• Si parla di avere i GP sugli smartphone a un euro: bella idea, ma le TV con quello che pagano non avrebbero qualcosa a che ridire?
Dal mio punto di vista, vedo molte dichiarazioni di principio e di intenti, anche molto condivisibili, ma per ora poco di concreto: peraltro, in tutta onestà, è ancora presto per esprimere un giudizio: occorre aspettare.
Mi sento di dire che comunque la tendenza prevalente è quella di realizzare la transizione da evento elitario ad una forma di manifestazione più popolare. Fatto che lo stesso popolo della F1 vive in maniera contradditoria: anche sui blog più frequentati, i commenti sono fortemente ondivaghi e c’è chi condivide l’opinione che la F1 non sarà più la stessa se non continuerà ad essere un “ristorante a 5 stelle”. E comunque, non è poi così tanto vero che negli anni ’70-’80 si passeggiava nel paddock o in pit lane con Lauda & co.: anche allora, certi “privilegi” avevano il loro prezzo”.
D. Veniamo al bimbo del titolo …
Bendinelli: “Fatico a vederlo come un falso d’autore, anche se non vorrei che d’ora in poi ad ogni GP ci siano bambini che piangono … Nel complesso, un’opportunità gestita con prontezza e furbizia, un geniale coup de théatre.
Secondo me, però si esagera nel voler considerare l’episodio come uno spartiacque tra l’era Ecclestone e l’era Liberty: conosco bene Mister BE per averci negoziato e anche “discusso” tanto e posso dire che aveva anche lui una grande sensibilità per tutto quello che poteva aumentare lo spettacolo, e quindi promuovere il prodotto Formula 1, ed una grande attenzione per il pubblico. Ricordo, fra tanti, quest’ultimo episodio: al GP di Monza del 2012, di una signora inglese che ebbe un piccolo incidente su una tribuna e che scrisse a BE per lamentarsi. Immediata la telefonata al sottoscritto con il messaggio “devi fare qualcosa per chi paga per lo spettacolo”. L’anno successivo, la suddetta signora fu nostra ospite, ma in tribuna centrale.”
Un primo cambio comunque c’è stato: l’età media dei nuovi gestori è sensibilmente più bassa dell’età del signore incontrastato per tanti anni: circa 60 contro gli 86 di BE.
La domanda che alcuni acuti osservatori si pongono è però la seguente: saranno i “nuovi giovani” della F1 in grado di interagire con gli anagraficamente giovani che respirano Pinterest, Twitter, Snapchat, Instagram e così via?
Che ne porta con sé una seconda: utilizzare nuovi approcci e strumenti per portare le nuove generazioni nell’alveo della F1 fino a che punto corre il rischio di far perdere quote tra il pubblico tradizionale più agé? Un pubblico che peraltro spende di più …
E una terza ancora: i Millennials cresceranno e, una volta conquistati alla F1, si spera di tenerli agganciati “per la vita”. Ma una volta che si siano abituati a servizi a basso costo, modificheranno i loro modelli di consumo verso servizi a più elevato valore aggiunto?
D. Il problema resta lo spettacolo in pista: le nuove regole tecniche vanno nella direzione di aumentarlo?
Pontremoli: “Credo che si sia insistito troppo sul tema della performance pura, ovvero del tempo sul giro: credo però che tutti gli appassionati ricordino la mitica serie di sorpassi e controsorpassi tra Arnoux e Villeneuve (peraltro nemmeno per contendersi la vittoria) e nessuno sappia chi effettuò il giro più veloce (e anche chi vinse la gara!).
Ho l’impressione che privilegiando la downforce gli spazi per effettuare sorpassi saranno ancora più ridotti (ndr. opinione espressa prima della gara in Australia, poi confermata dai fatti e dalle impressioni dei piloti).
E meno sorpassi, significa meno spettatori: il nostro responsabile dell’aerodinamica ha studiato il rapporto tra le due grandezze, evidenziando una correlazione decisamente diretta! Allargare le gomme ha certamente aumentato il grip, facendo però quasi scomparire i “traversi” che tanto piacciono ai tifosi”.
D. Viva quindi il modello USA?
Sempre Pontremoli: “In termini di garantire competitività, evitare il dominio monopolista di un team e tenere costantemente sveglio l’interesse del pubblico, certamente. Faccio un esempio vissuto sulla nostra pelle. 24 Ore di Daytona: vinciamo la gara. Veniamo quindi penalizzati (in termini di rapporto peso/potenza) per la gara successiva, la 12 Ore di Sebring. Corriamo con tre auto, su un lotto di 46, e occupiamo tutti i gradini del podio. Da qui una nuova penalizzazione, che accettiamo di buon grado perché comunque ci obbliga a migliorare continuamente e a non vivere di rendita perché abbiamo azzeccato la macchina giusta all’inizio di stagione”.
Secondo Bendinelli, invece, sistemi di BoP (Balance of Performance) quali quelli richiamati da Pontremoli sono “cose da americani”, per quanto trovino ampia applicazione anche in altre formule di matrice europea.
La ricetta per Bendinelli è molto più semplice: “ridare maggiore responsabilità ai piloti, oggi troppo eterodiretti dal muretto reale o virtuale che sia. Il punto è che gli ordini di scuderia hanno un’eccessiva influenza anche sui sorpassi, dovendo assecondare interessi economici e di business di ordine superiore.”.
Sarebbe anche sbagliato dare la colpa ai team, che si trovano a gestire e a dover giustificare come gestiscono ingenti budget economici: l’analisi attenta di Bendinelli colloca l’origine del problema a monte, nell’attuale bilanciamento dei poteri tra gli organi di gestione sportiva della F1. A suo parere, i team “hanno oggi un peso eccessivo all’interno del sistema, in seguito alla creazione dello Strategy Group, diventando i principali autori delle regole: come tali, non possono che legittimamente difendere i loro interessi. Ridare l’originaria autorità alla Commissione di F1, che è composta in maniera più equilibrata da tutti i protagonisti di questo sport, compresi i promotori che sono quelli a più diretto contatto con il pubblico, magari potrebbe aiutare …”.
Chase Carey, una laurea in economia conseguita alla Colgate University che guarda caso ha sede ad Hamilton (predestinazione?) e un MBA ad Harvard, non ha certamente bisogno di consigli. Possiamo solo lanciargli un augurio da esperti di management e appassionati di F1, Ovvero che la F1 sappia trovare il suo Oceano Blu (quello del modello di Kim e Mauborgne, sicuramente a lui e ai suoi già noto), nella sua accezione più semplice e lineare:
• guardare dove altri non hanno voluto e saputo guardare
• non dover a tutti i costi creare qualcosa di assolutamente nuovo, ma “solo” essere capaci di dare un nuovo valore a cose che già esistono, reinterpretandole in maniera diversa.
Da più parti, pubblico, stampa, organismi sportivi, arrivano di continuo elementi da inserire nello schema operativo dell’approccio Oceano Blu: eliminare – aumentare – ridurre – creare. Ne ricordiamo alcuni a mo’ di esempio.
Cosa eliminare
• l’eccesso inutile di tecnologia, che comporta un aggravio di costi e una sfrenata rincorsa a migliorie spesso marginali
• strutture di controllo ridondanti e troppo onerose.
Cosa aumentare
• Il numero di case costruttrici e il numero di team in gara, senza scoraggiare i team privati da differenze prestazionali eccessivamente penalizzanti nei confronti dei team ufficiali
• La facilità di accesso al pubblico se non proprio al paddock, ad aree collegate
• La spettacolarità della gara vera e propria, ricorrendo magari al meccanismo delle due gare della domenica, una in tarda mattinata e l’altra nel pomeriggio
• La presenza attiva ed entusiasta dei piloti
• Cura per gli interessi di spettatori e sponsor, specie delle medie aziende, come tali portatrici di budget non elevatissimi in assoluto
• La “vita” nel Paddock, che in certi momenti del fine settimana appare come un villaggio deserto e senz’anima
Cosa ridurre
• I costi in generale, a partire da quelli di esercizio dei team che di conseguenza possono offrire di più e chiedere di meno agli sponsor
• L’eccesso di regole poco chiare al pubblico e che rendono poco lineare lo spettacolo
Cosa creare
• Una serie di eventi globali, accessibili e in buona sostanza “universali”
• Un Open Paddock, diverso dal Paddock vero e proprio, dove possano tenersi presentazioni di mezzi, conferenze stampa, trasmissioni radiofoniche e altri eventi ad elevato coinvolgimento del pubblico
• Soprattutto, quale valore fondante di tutto il sistema senza il quale molte delle cose dette non sarebbero possibili, una mentalità aperta e disponibile ad offrirsi al pubblico.